Oggi voglio metterti davanti a un bivio, lo stesso che ho attraversato io e che cruccia molti dei miei amici.

Sì perché la nostra, quella dei 30enni e dintorni, è una generazione un po’ strana, un po’ a metà strada fra abitudini, tradizioni e mentalità che si sono mantenuti inalterati per decenni, e il nuovo, prorompente e prepotente modo di concepire la vita e viverla.

Siamo il ponte fra le vecchie generazioni (quelle dei nostri genitori e nonni) e i millenials. Il crocevia fra l’estenuante ricerca della sistemazione a tempo indeterminato, del posto fisso e del matrimonio, magari anche dei figli e della casa di proprietà con tanto di cane e giardino, e il precariato, la vita vissuta alla giornata, l’assenza di punti fissi ovvero del costante mutamento di questi ultimi.

Siamo il frutto di ciò che ci hanno insegnato i nostri vecchi, essere prudenti e posati, e le nostre giovani spinte interiori: prendere in mano la nostra vita, farne un sogno e rischiare!

Alla fine cosa vince?

La nostra incapacità di prendere una decisione, seguire le nostre aspirazioni, farci “un fondoschiena così” per realizzarle e riuscirci.

Alla fine molti di noi rimangono incastrati sentendosi vittime. Non importa di cosa o di chi, ma vittime. Vittime delle aspettative dei propri genitori, vittime dei tempi, vittime di un governo che non sa garantire il lavoro a tutti. Sempre e solo colpa degli altri.

Sì, ma tu, cosa vuoi dalla vita?

Per cosa propendi: essere dipendente o lavorare in proprio?

E qui non si tratta solo di una scelta lavorativa, ma di uno stile di vita, dello specchio della tua personalità.

Le due cose sono ben diverse, non certo interscambiabili e ognuna con i suoi pro e contro.

La vita da dipendente è una vita apparentemente, e sottolineo solo apparentemente, comoda. È il mito con cui ci hanno tirato su le nostre famiglie, la maggior parte almeno. È quel luogo in cui non prendi decisioni importanti, c’è qualcuno che ti dice cosa devi fare, quali linee seguire, che ti contrattualizza e ti paga. L’oasi felice dove tu timbri il cartellino, fai quello che devi fare e te ne vai, certo che a fine mese arriverà la retribuzione, con tanto di tredicesima e quattordicesima. Lì dove ferie, permessi e congedi sono assicurati a tutti.

Ma deve essere un’oasi felice appunto, una delle poche e utopiche oasi felici del nostro Paese.

Sì perché, spesso, la realtà è molto diversa.

Sfruttamento, lavoro nero, bonifico non corrispondente a busta paga (in difetto ovviamente), straordinari non retribuiti, perché il cartellino te lo hanno fatto timbrare prima, colleghi scaricabarile e con le spalle coperte, limitata assenza di espressione (esegui e non fare domande).

Sì, ma io mi ribello!

Certo, allora preparati anche a firmare una lettera di dimissioni in bianco prima ancora di firmare il contratto di assunzione

Ecco allora che il passo fra l’oasi felice e la prigione di Alcatraz diventa molto breve.

Non spaventarti, ti ho presentato due situazioni estreme, non impossibili, ma certamente estreme.

Le più frequenti sono quelle ibride.

Quelle in cui, se ci capiti, perché ci capiti, tutto sommato non ti trovi male, ma neanche bene, ti pagano, ma non abbastanza, non ti dispiace ciò che fai, ma non ti senti realizzato.

Queste sono le situazioni in cui ti stai accontentando. Per paura di fare il salto, rischiare, seguire i tuoi sogni e creare un’attività che sia tua e dipenda solo da te.

Sia chiaro, anche nel lavoro autonomo non sono certo tutte rose e fiori.

Indubbiamente sei più “libero”. Non devi dar conto a nessuno, fai ciò che vuoi, quando vuoi e come vuoi. Non hai capi insopportabili, nè colleghi invadenti. Ti scegli il luogo, le mansioni, i collaboratori. Ti autogestisci in tutto e per tutto e questo è bellissimo.

L’altro lato della medaglia è che non stacchi mai. Non esiste un capo, ma esistono tanti clienti e dovrai rendere conto a ognuno di loro, con le rispettive scadenze. Non c’è nessuno che ti paga a fine mese, ma dovrai essere tu tanto ingamba da procacciarti lavori tali da garantirti un’entrata fissa e dignitosa. Le decisioni spetteranno a te e solo a te, per te stesso e per gli altri, ad ogni livello e spessore.

Le parole d’ordine dovranno essere: RESPONSABILITÀ, INTRAPRENDENZA, PERSEVERANZA e… tanta PAZIENZA. Sì, perché, anche nei periodi più duri (e ce ne saranno), dovrai stringere i denti, reinventarti e rilanciarti, per non soccombere.

Ti ho messo paura?

Beh, no, non ambisco ad essere una mamma chioccia pronta a scoraggiare ogni tua iniziativa imprenditoriale a favore della tanto agognata sistemazione.

Ma solo farti riflettere sul punto di partenza. Perché la cosa importante è iniziare.

Ciò che conta è capire cosa ti piace fare, cosa ti fa brillare gli occhi, in cosa sei bravo.

Poi basterà seguire pochi passaggi, mentali almeno (per quelli pratici troverai mille vademecum online).

1. Non essere prevenuto e non chiudere le porte in faccia a niente e nessuno.

Sì perché le opportunità nascono lì dove neanche puoi immaginare e perché nessuna esperienza è inutile. Ho visto tanta gente partire con delle idealizzazioni, più che con delle idee, e scontrarsi con amare delusioni solo perché incaponiti sugli aspetti luccicanti delle proprie convinzioni, tralasciando tutta la parte pratica, operativa e reale. Per arrivare a raggiungere i propri obiettivi spesso è necessario scendere ad alcuni compromessi (nei limiti dell’etica e della legalità s’intende), proprio perché nessuna esperienza e conoscenza è mai inutile.

2. Non fare la vittima. Mai.

È vero che la tua vita e ciò che sei è anche frutto delle influenze esterne, ma nessuno ti punta una pistola alla tempia per costringerti a seguire una determinata strada. Qualunque cosa accada, nella tua vita lavorativa e nel tuo stato d’animo, in virtù di questo, non è sempre colpa degli altri.

Molto spesso dipende dalla tua capacità di agire o, meglio, dalla tua incapacità di fare qualcosa e cambiare gli eventi.

Non ti piace il tuo lavoro, cambialo.

Non vuoi fare il dipendente, attrezzati per creare qualcosa di tuo.

Sei troppo pressato dalle responsabilità, sfrutta le competenze acquisite e mettile a disposizione di chi ne ha bisogno.

Più di tutto non piangerti addosso se non lavori.

So di attirare molte polemiche dicendo questo, ma sono fermamente convinta del fatto che chiunque voglia e sappia lavorare un lavoro prima o poi lo trovi.

3. Decidi con la tua testa e non avere paura.

Quando si è a un bivio, tutti e dico tutti, si lanceranno in provvidenziali consigli forti delle loro esperienze.

Molti ti suggeriranno di tenerti stretto ciò che hai, pochi di mollare tutto e aprirti un chiosco di limonate a Cuba, nessuno ti spingerà verso le tue reali aspirazioni dandoti consigli pratici (per quello dovrai pagare spesso).

Alla fine è bene che tu ascolti tutti, ma decida con la tua testa.

Nessuno veste i tuoi panni, sa fino in fondo come sei e cosa vuoi.

Non temere di deludere mamma, papà, la nonna, il trisavolo di cui ormai non esistono neanche più le ossa. La loro vita l’hanno fatta, ora tocca a te.

4. Sii umile.

Se c’è una cosa che infastidisce capi e clienti sono le persone saccenti.

Meglio dieci passi indietro, ammettendo i propri limiti, che uno avanti, fatto male, dopo aver promesso mari e monti in tempi record.

I miracoli non li sa fare nessuno, tu neanche, perché vendere ciò che non possiedi?

Ti assicuro, la gente apprezza la franchezza, non l’arroganza, la realtà, non l’illusione.

5. Studia e impara, tanto.

Che tu alla fine scelga di lavorare per qualcuno o in proprio c’è una cosa che non dovrai mai smettere di fare: apprendere.

La gavetta è l’aspetto più rognoso ma più importante di tutta la partita.

Non puoi vendere un servizio o una conoscenza senza che tu l’abbia assimilata fino all’osso.

Partire dalle classiche fotocopie o dai fax non è la fine del mondo, perché se dovrai fare da solo, dovrai saper fare anche questo.

Io che gestisco la CDQ da anni ormai ho visto molti ragazzi, soprattutto più giovani di me, lamentare l’assenza di opportunità formative e lavorative e implorare uno stage, per poi scoprirli con le braccia incrociate dinanzi ai loro profili social, come segno di protesta perché non venivano subito affidate loro mansioni di responsabilità o non era stata prospettata loro immediatamente un’assunzione a tempo indeterminato con tanto di auto, cellulare aziendale e quote societarie.

Il finale potrete intuirlo da soli.

Non hanno saputo approfittare delle mille opportunità che noi della CDQ mettiamo a disposizione, per giunta gratuitamente, a chiunque voglia mettersi o rimettersi in gioco.

Hanno preferito fare le vittime, invece di comprendere che la robustezza della loro carriera parte dalle basi e da ciò che si apprende.

E io, attraverso la CDQ, desidero solo farti apprendere, darti opportunità per vederti felice e realizzato, qualunque strada tu scelga di seguire.

Cosa dovrai fare per non perdere questo treno e iniziare a seguire i tuoi sogni?

Solo iscriverti alla newsletter di CDQ Formazione e scegliere gli strumenti migliori che ti metterò a disposizione per partire.

Il form puoi trovarlo comodamente sulla home del sito.

Prendi in mano la tua vita, allora, e segui i tuoi sogni.

Sara Pellegrino – Direttrice CDQ FORMAZIONE